Sex offender, il caso di Antonio
un’ipotesi di trattabilità
di Cecilia La Rosa e Maria Giuseppina Mantione*
Pubblicato sulla rivista quadrimestrale PSICOBIETTIVO volume XXX n° 2- 2010 pagg 103-113
Gli autori di questo articolo espongono il percorso di co- terapia, individuale e coppia di un caso clinico di pedofilia. Parte integrante del percorso di coterapia e’ fondato sul contratto terapeutico e sulla identificazione delle tematiche agonistico – dominanti- sessualizzate del paziente in risposta a situazioni di solitudine e di conflitto coniugale. Emergono i modelli operativi del paziente di tipo evitante e disorganizzato in risposta a tali situazioni di stress. La possibilita’ di una integrazione della coscienza viene percorsa attraverso il percorso di co- terapia che consente di vedere e integrare nella vita reale della coppia i significati delle fantasie violente e erotizzate del paziente.
Molto spesso, quando si parla di sex offenders , si pensa a individui dal tratto antisociale, non trattabili in psicoterapia in quanto incapaci di un autentico senso di colpa che li motivi al trattamento. Per definizione il perverso e’ motivato dal bisogno di sottomettere la vittima identificandosi con il persecutore, tale tipologia verra’ da noi identificata come sex offenders tipo 1. Ci sono alcune evidenze cliniche che si discostano da questo stereotipo e suggeriscono l’esistenza di individui che , a differenza del sadico perverso, sono caratterizzati da condotte sessuali non motivate unicamente dalla necessita’ di umiliare e disumanizzare le loro vittime. A differenza del sadico sessuale sopra descritto questi individui agiscono condotte perverse ponendosi come figura salvifica o come amante nei confronti della vittima. Chiameremo questa tipologia sex offenders tipo 2. Nel momento in cui i sex offenders 2 si propongono come salvatori o come amanti della vittima emergono schemi di memoria ed aspettative inappropriati costituitisi nelle prime interazioni con i genitori. I modelli operativi interni che derivano da questi ambienti familiari altamente confondenti se non addirittura abusanti risulteranno altrettanto caotici e confusi e sono alla base dello stile di attaccamento “disorganizzato”. I pazienti di questo tipo hanno difficolta’ a ricordare e riferire ricordi traumatici rispetto alla loro storia di attaccamento. Spaventati e spaventanti i loro modelli operativi sono improntati a rappresentazioni multiple e dissociate di se’ e degli altri all’interno delle relazioni . Spesso sono persone che si organizzano secondo lo schema del “triangolo drammatico” (salvatore, vittima, persecutore) dove la stessa persona, compreso il paziente , o in caso di terapia, il terapeuta, puo’ ruotare rapidamente e drammaticamente da un ruolo all’altro . Lo stesso intensamente e rapidamente si muovono gli stati dell’umore la cui regolazione puo’ presentare serie difficolta’ . Si tratta spesso di pazienti dello spettro borderline dissociativo associato a gravi traumi infantili.
IL CASO DI ANTONIO
Per ovvi motivi di privacy non e’ possibile dare riferimenti e informazioni che potrebbero far identificare anche lontanamente il paziente.
Antonio, anni 62, diagnosi DSM IV F65.4 PEDOFILIA 302.2 . Specifiche inerenti alla diagnosi: Sessualmente attratto da femmine, tipo non esclusivo.
Antonio per diversi anni ha avuto una relazione pedofilica con una parente di eta' dagli 11 ai 16 anni.
Gli incontri si ripetevano raramente ogni volta che le condizioni familiari lo permettevano, gli incontri avevano la peculiarita' dell'impulso sessuale incontrollabile. Antonio provava regolarmente senso di colpa e notevole disagio dopo ogni episodio. Si ripeteva continuamente che non avrebbe piu’ ripetuto gli abusi ma poi cedeva. La relazione si sviluppa lentamente nel corso degli anni, dalle semplici attenzioni fino a rapporti quasi completi con la bambina decritta da lui all’inizio della terapia come “consenziente” e se stesso come “innamorato”.
Arriva alla terapia con una richiesta aspecifica di aiuto relativa ad idee ossessive intrusive ricorrenti e interpretazioni deliranti a sfondo persecutorio della realta’; nel corso della terapia emerge il problema della pedofilia.
La relazione sessuale con la bambina e' finita da oltre 20 anni, ed e’ l’unica relazione pedofilica “reale” che racconta di aver avuto. Dopo questo episodio (e anche prima) il paziente ha provato spesso forti impulsi sessuali verso bambine prepuberi anche viste per strada ma non ha mai agito gli stessi. Frequenta discontinuamente siti pedopornografici.
Presenta inoltre fantasie ricorrenti di violenza in generale (stragi, omicidi, stupri) senza aver mai agito le stesse.
La storia di Antonio
La storia di Antonio e’ quella di una grave trascuratezza sia affettiva che comportamentale: la madre, costantemente depressa entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici, il padre era totalmente periferico preso dal lavoro e dal gioco d’azzardo. Antonio e i suoi fratelli sono cresciuti da soli , trascurati, affidati a parenti o saltuarie baby sytter. Spesso soli in casa per ore, spesso in balia di una madre molto sofferente e bisognosa di cure. Narra episodi in cui si deve prendere cura dei fratelli e della madre ma sostanzialmente c’e’ una quasi totale assenza di ricordi riferibili all’infanzia.
Di carattere chiuso molto spesso evitava situazioni di competizione anche lievi (scuola, sport e poi lavoro) per paura del fallimento. L’incontro con la moglie e’ determinante. Lei diviene l’unica compagna della sua vita. Non hanno figli e la loro vita trascorre in una sostanziale conflittualita’ e solitudine.
L’incontro con una giovane parente consente per la prima volta ad Antonio di realizzare i suoi impulsi pedofilici , nasce una relazione saltuaria che dura molti anni e si conclude quando la ragazza cresce. Dopo molti anni la relazione e la relativa tendenza pedofilica viene scoperta dai familiari che decidono di non procedere alla denuncia.
La presenza di ossessioni e rituali, ma forse anche il desiderio di parlare della vicenda conducono Antonio ad una richiesta di farmaci che diviene poi una psicoterapia individuale e successivamente una coterapia con una terapia di coppia.
LA TERAPIA INDIVIDUALE
La richiesta di terapia si concretizza naturalmente con la richiesta di aiuto farmacologico per ossessioni e compulsioni. Dopo poco tempo Antonio rivela la storia di pedofilia avuta con una parente e il grave conflitto coniugale che la scoperta di questa storia ha creato nella coppia.
Nonostante il rapporto pedofilico si sia verificato molti anni prima si profila per il terapeuta l’esigenza di definire delle condizioni di sicurezza relative al comportamento perverso. Paziente e terapeuta sanciscono un “contratto” per cui Antonio si impegna formalmente con il terapeuta a non agire atti di pedofilia , condizione fondamentale per proseguire la terapia. La terapeuta spiega ad Antonio che la possibilita’ di mantenere il segreto professionale e di usufruire del “diritto alla cura” e’ subordinata alla necessita’ di reperire che non vi siano rischi per altre persone relativi al suo comportamento.
In realta’ il desiderio di cura da parte di Antonio e’ molto forte e molto rapidamente si instaura una relazione con il terapeuta vissuto alternativamente nei ruoli di salvatore e persecutore. “Salvatore” in quanto finalmente depositario dei terribili racconti e vissuti , “persecutore” in quanto depositario del “giudizio” rispetto ai “confini” che non si possono attraversare. La possibilita’ di oltrepassare le rappresentazioni del triangolo drammatico (salvatore , vittima, persecutore) viene costantemente proposta dal terapeuta attraverso i piani della collaborazione. Rispetto al tema dei confini e dunque del terapeuta come possibile persecutore ,viene instaurata una rappresentazione di pariteticita’ in quanto entrambi soggetti alla legge degli uomini e la pedofilia e’ un reato che il terapeuta e’ costretto dalla legge a denunciare se si profilano dei rischi per gli altri. Dunque il terapeuta non si propone come giudice ma come testimone della realta’ della legge, terapeuta e paziente insieme devono rispettare la legge. Al paziente viene regolarmente ricordato il patto della cura su un piano di pariteticita’ e collaborazione alla terapia. Il piano dei confini viene esplorato anche sulla differenza tra impulso e intenzionalita’: il paziente viene aiutato a discriminare tra la dimensione del pensiero e delle azioni : il messaggio passante e’ che gli impulsi e le fantasie sessuali vengono da soli, ma l’atto, ad esempio di andare su internet alla ricerca di immagini di bambini e’ volontario e si puo’ controllare.
Un nuovo confine dunque si profila nel corso della terapia : quello tra pensiero e azione . Per molti mesi la terapia si concentra sulla necessita’ di lavorare sugli impulsi di ricerca di immagini su internet e il controllo degli stessi. Viene utilizzato con regolarita’ il metodo delle auto- osservazioni (CEPA , Contesto Emozioni Pensiero Azioni) in seduta per capire e analizzare insieme al paziente gli antecedenti e i meccanismi relativi all’impulso pedofilico. La possibilita’ di lavorare sugli impulsi e gli antecedenti emotivi e’ di aiuto anche al terapeuta che in questo modo puo’ empatizzare con i meccanismi e la difficolta’ di controllarli. Molto difficile per il terapeuta invece la fase della terapia relativa al racconto della relazione pedofilica : il paziente, molto chiuso ed evitante ha grandi difficolta’ a raccontare l’accaduto ed e’ chiaramente molto preoccupato dal giudizio del terapeuta, il terapeuta , d’altra parte vive un intenso disagio al racconto della storia, disagio che riesce a gestire solo con la “scotomizzazione” (Gabbard , 1992) degli aspetti scabrosi e la concentrazione sugli aspetti emotivi e psicopatologici dell’evolversi della vicenda .
Gradualmente si comincia a delineare la struttura di personalita’ e i modelli operativi di Antonio.
Due sembrano i modelli operativi interni che modulano i comportamenti interpersonali di Antonio: un MOI (modello operativo interno) insicuro –evitante che e’ prevalente nella vita di tutti i giorni e modula i suoi rapporti con il resto del mondo.; un MOI disorganizzato con attivazione di modalita’ controllanti punitive o sessualizzate, quando si attivano le fantasie di violenza o le fantasie pedofiliche.
Il MOI evitante: un bambino classificato come “evitante” ( Ainsworth 1978) ha probabilmente sperimentato nella prima infanzia l’impossibilita’ di ricevere cure, tenerezza e protezione adeguate da parte del genitore, ha buone possibilita’ di diventare un adulto “distanziante “ (dismissing secondo la classificazione dell Adult Attachment interwiew AAI) ( Hesse , 1999) e di presentare MOI improntati alla valutazione negativa delle relazioni interpersonali a fronte della valorizzazione di temi relativi all’autosufficienza. Le relazioni interpersonali saranno sistematicamente evitate come foriere di dipendenza e perdita dell’auto controllo o dell’autosufficienza, o vissute in modo formale senza nessuna esposizione delle emozioni. Nel complesso Antonio aderisce sostanzialmente a questo modello interpersonale, il terapeuta, al momento in cui non e’ attiva la dinamica del salvatore/ persecutore e’ vissuto collaborativamente , in modo un po’ formale, la esposizione delle emozioni e’ molto difficile. E’ come se le emozioni fossero irreperibili : narra gli episodi con una voce monocorde e lunghe pause. A volte e’ difficile capire se alle pause corrispondano momenti dissociativi dello stato di coscienza oppure riflessioni. Nel corso della terapia tale freddezza si attenua parzialmente per rientrare quasi costantemente durante la narrazione delle esperienze pedofiliche o degli impulsi verso la ricerca di immagini.
A questo MOI evitante e rigido corrisponde un’idea di se’ da parte di Antonio come “legalista”: si irrita quando legge sui giornali di atti di violenza , stupro, pedofilia e empatizza intensamente con le vittime e i genitori delle vittime . Spesso fantastica di poter fare “giustizia” e si rammarica di non aver seguito nella vita strade professionali che lo portassero a diventare un “paladino dei deboli” .
Tale rappresentazione di se’ sembra completamente “dissociata” dalla consapevolezza degli atti di violenza che ha perpetrato.
Il MOI disorganizzato: un bambino classificato come “disorganizzato” alla strange situation puo’ corrispondere allo stato mentale adulto classificato come “disorganizzato”. I pazienti di questo tipo hanno spesso difficolta’ a ricordare traumi, perdite, e difficolta’ a ricordare e riferire ricordi traumatici rispetto alla storia di attaccamento. Queste persone possono assumere comportamenti spaventati e spaventanti con i loro figli. I loro modelli operativi interni sono improntati a rappresentazioni multiple e dissociate di se’ e degli altri all’interno delle relazioni. Spesso , come abbiamo gia’ detto, si organizzano secondo lo schema del “triangolo drammatico” ( salvatore, vittima, persecutore. La peculiarita’ relazionale dei pazienti disorganizzati nasce dalle esperienze infantili: si ipotizza che la relazione in grado di determinare la comparsa della disorganizzazione dell’attaccamento sia mediata dall’esperienza di paura che il bambino potrebbe avere sperimentato da parte della figura di attaccamento. Un genitore “spaventante, violento, abusante”(fright without solution ; Main , Hesse , 1990) si propone nel doppio ruolo in rapida successione o addirittura sovrapponibile di persecutore (in quanto abusante) e di salvatore (in quanto figura di attaccamento) generando un paradosso irrisolvibile : colui che mi ama e mi protegge e’ anche quello che aggredisce. Si configura una sorta di blocco , di conflitto insanabile tra desiderio di allontanamento e di avvicinamento che esita in una paralisi delle funzioni di integrazione della coscienza e l’impossibilita’ di mettere in atto strategie comportamentali coerenti. Tali comportamenti incoerenti si riflettono abbastanza imprevedibilmente anche nella relazione terapeutica.
Studi recenti sull’attaccamento evidenziano come bambini classificati come disorganizzati sviluppino successivamente delle strategie comportamentali interpersonali alternative alla disorganizzazione: le cosidette “ strategie controllanti” (Hennighausen, Lyons –Ruth , 2005 ). In pratica i piccoli futuri pazienti si “organizzano” con una modalita’ alternativa ovvero controllare il genitore spaventante. Alcuni studi ( Lyons – Ruth, Jacobvitz, 1999) riportano che il passaggio dall’attaccamento disorganizzato alle strategie controllanti avviene in piu’ dell’80% dei casi : due modalita’ sono state fino adesso reperite: la strategia “controllante punitiva” e la strategia “controllante accudente”.
La stategia controllante accudente prevede la cosidetta “inversione di ruolo”: questi bambini controllano la figura genitoriale prendendosene cura e diventando fortemente accudenti. Rendendosi indispensabili e controllandoli continuamente si mettono nel ruolo di genitori dei propri genitori e gestiscono la mancanza di cure ricevute da genitori spesso molto depressi di cui percepiscono la fragilita’. Nell’adulto tale modalita’ si puo’ manifestare con un senso di ansia inappropriata, senso di responsabilita’ e senso di colpa. (Hennighhausen, Lyons-Ruth, 2005 )
Nella strategia controllante punitiva i bambini mostrano comportamenti aggressivi nei confronti della figura di attaccamento: reagiscono con rabbia all’ostilita’ che percepiscono , sono oppositivi, trasgressivi, sfidanti, dominanti. Tali comportamenti sono spesso associati ad analoghi comportamenti nei confronti degli insegnanti e degli altri bambini. I comportamenti aggressivi controllanti dei bambini riattivano la rabbia da parte del genitore incrementando una relazione improntata alla competizione e al rango .
Il piano “controllante punitivo” di Antonio e l’attivazione del sistema agonistico e del sistema sessuale .
Il paziente potrebbe avere una struttura disorganizzata dell'attaccamento, sulla base di questo potrebbe avere sviluppato delle strategie “controllanti” volte ad ottenere l'attenzione del genitore.
In particolare il paziente potrebbe avere sviluppato una strategia “controllante punitiva “ nei confronti della madre, chiaramente trascurante come si evince dalla storia clinica e dall'AAI.
Tale strategia si e' poi “evoluta” nella storia adulta in un 'alternanza di comportamenti aggressivi e / o sessualizzati sempre a carattere punitivo/dominante, seguenti l'attivazione del sistema di attaccamento in condizioni di solitudine o di conflitto come si evince dai trascritti di seduta. In pratica all'attivazione del sistema di attaccamento e alla sua disorganizzazione si attivano contemporaneamente il sistema di rango nella versione dominante (rabbia e violenza) e il sistema sessuale in una versione altamente aggressiva e dominante. Dunque la sessualita' violenta o perversa sarebbe una tentativo di organizzazione alternativo alla dissociazione.
Per il dettaglio sulle strategie controllanti vedere Liotti, Monticelli, 2009.
L'area sessuale sembra essere l'unica dove si sente “capace” e “vincente” : sottomettere sessualmente bambine sembrerebbe una forma di riscatto rispetto al suo sentimento di fallimento totale . Analoghe sensazioni accompagnano le fantasie violente, spiegate come forme di “vendetta immaginata”. In questi contesti mentali egli non percepisce la perversione come un sintomo ma come un atto di rivalsa che lo libera dalla solitudine e con il quale raggiunge un senso di rivalsa e di glorioso trionfo (Stoller 1978) .
Analizzati in seduta secondo il metodo CEPA delle autosservazioni, fantasie sessuali, fantasie violente ricorrenti seguono spesso due situazioni di contesto: litigi con la moglie, fallimenti, solitudine. Le emozioni sono di piacere sessuale e trionfo.
Sul piano comportamentale la frequentazione dei siti pedopornografici segue le stesse dinamiche relative alle fantasie di cui sopra.
Solitudine e rabbia , tensioni coniugali e lavorative sono sempre fattori che confermano la bassa autostima e un circolo ricorsivo di competizione e fallimento che si oppone invece alla sensazione di dominanza provata durante gli atti sessuali perversi reali o fantasticati.
Di fatto il paziente passa dalla situazione “fantasticata” all'agire quando una parente comincia spesso a vivere con lui e la moglie e diviene oggetto delle sue attenzioni e delle sue pulsioni, peraltro gia' presenti ma in forma indefinita fino a quel momento.
Dopo l'inizio della situazione reale tutto il corredo della perversione si spiega eclatantemente (siti pedopornografici e fantasie non piu' accennate ma esplicite).
La integrazione di queste parti di se’ e’ un processo lungo che Antonio inizia per la prima volta nella stanza di terapia. Frasi come: “come e’ possibile che un momento prima leggendo il giornale mi indigno al pensiero di un uomo che violenta un bambino e pochi minuti dopo ho il desiderio di farlo?” diventano all’ordine del giorno del lavoro terapeutico.
Altrettanto importante tema diviene infine , il rapporto con le donne adulte, temuto, e incentrato su forti temi di vergogna e di inadeguatezza che si rivela essere un ssempre piu’ suggestivo filone di indagine per il proseguimento della terapia.
LA TERAPIA DI COPPIA E LA COTERAPIA
Accanto alla necessità di Antonio di rielaborare all’interno del percorso di terapia individuale, intrapreso già da circa sei mesi, la drammaticità della propria esperienza e fronteggiare le relative difficoltà, emerge anche l’esigenza di tentare di salvaguardare e recuperare la relazione coniugale, legame di fondamentale importanza per lui e motivazione pregnante per la richiesta di cura.
Per tale ragione alla terapia individuale viene affiancata una terapia di coppia e i setting vengono strutturati all’interno di una cornice di co-terapia, ovvero viene garantita la continuità del processo terapeutico dalla condivisione del modello teorico e dal puntuale scambio clinico da parte delle due terapeute e i pazienti vengono messi al corrente di queste modalità previste dall’intervento.
Così strutturata la co-terapia consente di accogliere ma anche differenziare la motivazione alla cura da parte di Antonio; il piano individuale e quello coniugale raccolgono le diverse parti di sé, non sempre integrabili in una sintesi unitaria e coerente e che al momento è assolta dall’integrazione dei contesti clinici operata dalle due terapeute.
L’impatto che la scoperta della relazione di Antonio con la giovane parente ha sulla moglie, accanto agli inevitabili risvolti di incredulità prima e di drammatica sofferenza immediatamente dopo, mette ancora di più Antonio di fronte agli effetti della propria “dissociazione”, trovandolo però privo di parole per raccontare e raccontarsi.
Sarà nel contesto di terapia individuale che Antonio riuscirà a comprendere e dare nome ai suoi sconcertanti impulsi e al suo mondo interno caratterizzato da desideri e fantasie pedofili che. Solo dopo diventa possibile condividere con la moglie i primi passi della sua rielaborazione e della sua cura e il contesto della terapia di coppia offre lo spazio emotivo per tentare un confronto e un dialogo tra loro, altrimenti difficile se non impossibile.
Antonio ha bisogno di mantenere distinti i due spazi terapeutici se pure in stretta continuità tra loro. La relazione di fiducia che ha instaurato con la sua terapeuta individuale consente l’esplorazione dei suoi ambiti oscuri e “vergognosi” che solo in un secondo momento possono essere raccontati e condivisi con la moglie.
La co-presenza dei due setting e lo scambio costante tra le terapeute consente di garantire il rispetto dei confini dello spazio individuale di Antonio e, al tempo stesso, di accogliere ma modulare le esigenze della moglie, profondamente impaurita, di conoscere e sapere come il marito sta affrontando la propria situazione e le proprie problematiche. La legittima necessità di conoscere da parte della moglie se diventa intrusione nel contesto di terapia di Antonio rischia solo di compromettere il percorso terapeutico ed aumentare il livello di conflittualità tra loro, senza consentirle, tra l’altro, una reale rassicurazione rispetto allo stato di allerta e di allarme che la sovrastano.
Sarà Antonio a “trasportare” piano piano i frutti della elaborazione fatta in terapia individuale dentro il contesto di terapia con la moglie, ma la terapeuta di coppia, costantemente informata dalla terapeuta individuale, può garantire il procedere fruttuoso della terapia di Antonio e il rispetto delle condizioni contrattuali indispensabili per il procedere della terapia stessa, pur salvaguardando ciò che per Antonio è ancora troppo prematuro condividere con la moglie.
Sarà su queste condizioni di sicurezza che Carla deve basare la sua decisione di proseguire o meno la terapia di coppia ed impegnarsi per un accordo terapeutico all’interno del quale possa sentirsi in qualche modo accolta e tutelata. Per Carla, infatti, accanto al tentativo di salvare la sua unione con Antonio, è fondamentale un sostegno e un contenimento all’angoscia che la scoperta della pedofilia del marito ha suscitato.
Nella terapia di coppia, a tale scopo, viene lasciato molto spazio all’espressione delle difficoltà e sofferenza di Carla e ciò consente in parte di calibrare lo spazio che Antonio ha nel suo contesto individuale senza esporre questa famiglia ai costi economici che l’affiancare alle due terapie un’ulteriore terapia individuale comporterebbe.
La scelta di questi due contesti terapeutici specifici è motivata anche dalla necessità ed urgenza di lavorare sulle dinamiche interpersonali della coppia, giacché anche Carla, inevitabilmente, si trova “ingaggiata” nelle trame relazionali determinate dall’attivazione del M.O.I. disorganizzato di Antonio, rispondendo in modo complementare alle sollecitazioni che il ruolo ora di vittima, ora di carnefice, ora di salvatore, assunto dal marito determina, contribuendo a lasciare questa coppia nel pantano dell’impotenza e del caos.
Conclusioni
Non è di certo inusuale per uno psicoterapeuta trovarsi ad affrontare esperienze cliniche complesse e difficoltose, sia per i quadri psicopatologici che i pazienti presentano sia per le risonanze emotive che talune problematiche determinano.
Il caso clinico presentato in questo lavoro esemplifica molto chiaramente tali difficoltà considerando i diversi aspetti implicati nel trattamento, i temi trattati all’interno dei setting, il delicato equilibrio nella relazione terapeutica con la coppia coniugale.
Come già descritto, il doppio setting di co-terapia ha rappresentato un trattamento terapeutico efficace per affrontare ed accogliere la complessità che il caso presentava e, al tempo stesso, ha consentito ai terapeuti di condividere l’inevitabile carico emotivo che la situazione nel suo insieme comportava.
In questo modo sono state garantite quelle condizioni di “sicurezza” necessarie ad accogliere il racconto del paziente e della coppia e a consentire una rielaborazione delle esperienze vissute e sino a questo momento confinate nel silenzio e nella solitudine evitando il rischio di creare un contesto di ascolto “giudicante” che avrebbe inevitabilmente riattivato i vissuti di vergogna e di colpa.
BIBLIOGRAFIA
Gabbard G., : (19929: Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Hennighausen K.H., Lyons – Ruth K: Disorganization of behavioral and attentional strategies toward primary attachment figures: Form biologic to dialogic processes. In Carter S, Anhert L et al. (eds) : Attachment and Bonding : A New Sinthesis. The MA Press, Cambridge.
Giovanni Liotti, Benedetto Farina, Antonella Rainone (a cura di). Due terapeuti per un paziente. Edizioni Laterza.
Lyons-Ruth K, Jacobvitz D. (1999) . la disorganizzazione dell’attaccamentoIn : Cassidy J., Shaver P.R. (eds): Manuale dell’attaccamento, Fioriti editore, Roma.
Main M., Hesse H. (1990): Parent’s unresolved traumatic experiences are related to infant’s disorganized attachment status: is frightened and or frightening parental behavior the linking mechanism? In Greenberg
Liotti G., Monticelli F. ( a cura di ) : I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Stoller R. (1978): Perversione. La forma erotica dell’odio. Feltrinelli, Milano.
* Dott.ssa Maria Giuseppina Mantione, psicologa, psicoterapeuta, docente SPC, Centro Clinico De Sanctis, Roma.